Il massiccio del Monte Cervati è un luogo in cui il tempo riesce ancora a scorrere lentamente. Con i suoi 1898 metri sul livello del mare, è la vetta più alta della regione Campania ed è incluso nel territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni
Io sono cresciuto proprio qui, o meglio, alle sue pendici, a Sanza (SA).
Ricordo che non ero ancora in grado di camminare bene e me ne stavo comodamente seduto sulle spalle di mio padre mentre mi portava a pesca sul fiume Bussento, dall’alto avevo una buona visione su tutto ciò che accadeva in quell’acqua che veniva giù con forza e costanza dal Cervati. I miei occhi si illuminavano di continuo mentre papà mi suggeriva dove guardare. Dei primi incontri con questa montagna ricordo gli odori, il verde, le fioriture sul tessuto calcareo, la silenziosa lettiera delle faggete vetuste al mattino presto, le fragoline di bosco che crescono abbracciate ai porcini. Ricordo sinfonie che resistono al tempo.
Oggi, a 24 anni, nonostante le centinaia di giornate trascorse su questa montagna, non smetto mai di stupirmi. Spesso prendo nota, su un taccuino, degli incontri fatti con la fauna selvatica. Mi segno il posto, le condizioni climatiche, l’ora e quanti più dettagli riesco a percepire. È un esercizio di osservazione. Proprio in questo momento, sfogliandolo, alcuni incontri mi vengono alla memoria. Come di quando il sole viene momentaneamente oscurato dal passaggio di un battito d’ali oppure quando negli ultimi minuti di luce si mettono in movimento sagome quiete.
Un'aquila reale (Aquila chrysaetos) in volo sul Monte Cervati (Mariano Peluso ©).
Melanargia galathea durante l’attività di foraggiamento dietro al Santuario della Madonna Della Neve, Monte Cervati (Mariano Peluso ©)
L’idea di raccontare questo luogo attraverso un documentario nasce dal bisogno di dover restituire delle nozioni ed emozioni che ho appreso da persone che hanno dedicato gran parte della loro vita allo studio e alla conoscenza di questo territorio, alcune di queste le conosceremo nel documentario. Realizzato in tre anni, affronta diverse tematiche legate all'ecosistema del Monte Cervati. In particolare, si concentra sulla migrazione degli uccelli, sulla nidificazione di una delle tre coppie di aquila reale attualmente note in regione Campania e che nidifica alle pendici del Cervati, sugli endemismi botanici e sul rapporto con il selvatico. Il documentario sottolinea l'importanza di proteggere e preservare questo luogo, ma riconosce anche la complessità di questo compito.
Un giovane gatto selvatico (Felis silvestris) intento a cacciare. Monte Cervati (Mariano Peluso ©).
Per proteggere c’è bisogno di conoscere, “salvaguardia se si conosce” è ciò che il Prof. Nicola di Novella, botanico, enuncia in modo lapalissiano nel documentario. Un’affermazione non banale.
Il pericolo più grande a cui va incontro questo luogo, così come tanti altri in Appennino, è quello di incentivare un turismo che mira ad utilizzare il territorio senza fornire educazione ambientale finalizzata alla conservazione.
Che cosa significa fare conservazione della natura?
Significa tutelare le specie come parte integrante degli ecosistemi naturali, preservando i meccanismi evolutivi che ne hanno determinato l’affermazione e il continuo adattamento.
Significa promuovere una visione in cui la natura selvaggia diventa parte integrante della nostra vita quotidiana e parte essenziale della nostra identità. Sempre più persone vogliono conoscere la storia naturale dei luoghi ed è questo su cui degli amministratori virtuosi devono fare leva, permettendo investimenti e massimo supporto nelle attività di ricerca scientifica. Queste ultime sono essenziali per qualsiasi piano di gestione di un territorio.
Abusiamo di parole come: sostenibilità, biodiversità, educazione ambientale, conservazione e protezione della natura. Ci serviamo di queste parole come un semplice atto di facciata, pensando che il loro semplice utilizzo sia sufficiente per dargli forma. Con questo tipo di propaganda si gioca con il nostro futuro. Non possiamo più permettere che chi solleva questioni gestionali basate su conoscenze scientifiche venga etichettato come "ambientalista estremista" da coloro che cercano di sfuggire alle proprie responsabilità, e ignorano la competenza tecnica necessaria per gestire adeguatamente il territorio.
Marilena Izzo, ornitologa, a lavoro durante il progetto Migrandata Cervati, il campo di inanellamento di alta quota più a sud d’Italia (Mariano Peluso ©).
L’altopiano di vetta del Monte Cervati è come una piccola isola che si solleva da un mare di faggi. Si estende per circa un chilometro e mezzo in lunghezza e per cinquecento metri nel punto più ampio. In appena un’ora di camminata ad anello si percorre l’intero altopiano. È un’area minuscola se paragonata alle estensioni chilometriche degli altopiani di vetta alpini, per cui è ovvio che qualsiasi intervento o opera che punti ad aumentare l’utilizzo della montagna da un punto di vista turistico qui ha un peso nettamente diverso e richiede delle considerazioni profonde e lungimiranti.
Una salamandrina dagli occhiali meridionale (Salamandrina terdigitata), anfibio endemico dell’Italia meridionale, si confonde con la lettiera del bosco, Monte Cervati (Mariano Peluso ©).
Il documentario, che ci riporta una fotografia del Cervati ai giorni nostri, sarà trasmesso su RAI 3, nella puntata del 2 aprile di GEO.
Con tutto il mio cuore, spero che questo lavoro aiuti a comprendere che il valore autentico di questo luogo è inestimabile e deve essere riconosciuto nella sua fragilità. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario fare un passo indietro e gradualmente costruire una conoscenza duratura nella comunità, che abbia al centro il bene comune. Bisogna tenere conto di tutti i benefici che la natura offre agli esseri umani e ridefinire il significato di "buona qualità della vita”.
Risalire alle cause della perdita di biodiversità è abbastanza spaventoso, perché questo ci porta all'intero modo in cui opera l'economia mondiale, ma siamo qui per dare il nostro contributo affinché ci aspettino tempi migliori. Dimostrare che un’alternativa ai modelli di utilizzo meramente turistico del territorio è possibile.
Nella complessità della crisi climatica attuale l’Appennino Meridionale, e luoghi come il Monte Cervati, rappresentano un posto sicuro per comprendere che la conservazione delle montagne è uno dei punti fondamentali per la salvezza della specie Homo sapiens.